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L’acronimo nymby- not in my backyard (non nel mio giardino)- viene rappresentato con la connotazione della limitatezza e della negatività. Viene fatto apparire come un disperato tentativo di veto che gruppi di cittadini, organizzati in comitati, relegati al ruolo di consumatori o utenti, quindi senza più diritti, frappongono alla diuturne minacce contro i propri interessi legittimi.
La connotazione della negatività mette in cattiva luce, bollando come nemici del progresso tecnologico, scientifico ed economico, tutti coloro i quali si oppongono alla costruzione di centrali nucleari, di ferrovie ad alta velocità, di gassificatori, di inceneritori di rifiuti, di cementificazioni e/o infrastrutture ingiustificate, di centrali a turbogas etc..
Vengono “tollerati” – con irrisione poi non tanto implicita- solo quelli che, esasperati dalle conseguenze della inciviltà da consumismo si dedicano alla pulizia degli alvei dei fiumi, dei boschi, delle spiaggie..etc… a patto però che non si spingano oltre, cioè che non si mettano a cercare le cause che producono tali forme di inquinamento.
Tale battage, effettuato anche con formule subdole ( si pensi agli spots televisivi sul nucleare) subisce battute d’arresto, talvolta, dovute all’oggettività del triste proliferare di malattie e decessi tra la popolazione, di maremoti e terremoti, di frane ed alluvioni, di stupri ambientali…etc, per continuare poi, con inalterato fervore, in nome della modernità, dello sviluppo, della crescita del prodotto interno lordo, dell’occupazione….etc….
Probabilmente il disatro nucleare dei reattori di Fukushima frenerà la corsa al nucleare, per un pò, complice la speculazione sul prezzo del gas e del petrolio che con la rivolta libica si è inasprita aggravando la pesante crisi finanziaria internazionale ancora in atto. Ma non per molto tempo.
Il rigore revisionista antinuclearista della Merkel , poi, (dovuto anche alla severa flessione della CDU nelle elezioni regionali del Baden Wurtemberg) si attenuerà annacquandosi in un labile rinnovamento con la chiusura di due vecchie centrali ormai obsolete, quindi poco redditizie.
Sicuramente le lobbies economiche e finanziarie hanno gli strumenti di comunicazione, di penetrazione negli apparati politici e nei gangli della pubblica amministrazione per fare progredire i propri interessi
e profitti, ciò senza pensare a complotti più o meno di vasta portata nei confronti di gruppi di cittadini che difendono il diritto alla salute ed ad un ambiente vivibile: è la logica del profitto e del mercato, molto spesso incontrollabile ed incontrollata.
Poniamoci, allora, una domanda:
la capacità di resistere alla logica suddetta a cosa è legata?
In ogni caso:
quali sono i limiti dell’azione di comitati, gruppi, associazioni, etc.. in difesa dell’ambiente e della salute verso le lobbies, le multinazionali, le società per azioni..etc.. che pongono in essere progetti che li negano?
I partiti , di maggioranza o minoranza, svolgono, legittimamente il loro ruolo, a seconda delle proprie posizioni politiche, formulando progetti, elaborando disegni di legge, consoni alla propria visione dei problemi: così una parte del PD (non tutto) si è fatto alfiere dell’introduzione nel nostro ecosistema di elementi della così detta Green Economy che dovrebbe poggiare le proprie sorti sul proliferare di energie rinnovabili, mentre la maggioranza governativa (attualmente in mora dopo il disastro giapponese) si era lanciata sul nucleare tout court ( non importa di quale generazione ed a quali costi e rischi).
Dovrebbero essere determinanti nell’assunzione di tali opzioni le idee forza che gruppi di cittadini riescono a tradurre in movimenti reali in grado di imporre ai partiti ed alle istituzioni suddette la loro visione di crescita ( o di decrescita più o meno felice) del paese.
Però , in realtà, non è così!
Raramente comitati e movimenti risultano vincenti.
Ciò non può essere attribuibile solo alla “potenza” dell’avversario che indiscutibilmente c’è e si fa valere a vari livelli, ma va ricercato anche nella natura e nella fisiologia della protesta di cui pezzi di popolo, cittadini, autorganizzatisi per la difesa di un loro comune diritto sono portatori.
Schematizzando al massimo si potrebbe dire che l’autonomia della protesta ne costituisce, ad un tempo, sia la forza che la debolezza: manca il livello della generalizzazione o più semplicemente del collegamento che recuperi il frazionamento ( e quindi l’isolamento) dei singoli interessi difesi ancorchè legittimi.
Non importa riandare, sociologicamente, alle esperienze negli Stati Uniti, dopo la guerra, per cogliere l”estremo proliferare e la caducità di comitati di cittadini che si univano per tagliare, ad esempio, la siepe che impediva la visuale della pericolosità dell’incrocio stradale. E non per la natura degli obiettivi, ma per la mancanza di una visione “più ampia” dei problemi.
Si difende il “proprio giardino” ed i “giardini limitrofi”, gelosamente, senza cercare di stabilire collegamenti, neanche, con “altri giardini” che sono sottoposti agli stessi tipi di attacchi o pericoli.
Non che alle manifestazioni sindacali, od anche politiche, non prendano parte comitati di diversa natura o scopi, ma tale partecipazione è fine a sè stessa: dopo tutti a lavorare per il proprio giardino.
Cioè a dire prevale l’individualità sulla solidarietà.
Se poi la solidarietà si traduce nella esigenza umanitaria di dare asilo a migliaia di migranti in fuga dalla Tunisia e dal NordAfrica allora le cose si complicano ulteriormente.
Alcune regioni, soprattutto al nord, hanno problemi “tecnici” di accoglimento di profughi o clandestini che dir si voglia, e nell’ Unione Europea delle monete, Francia e Germania ostacolano limmigrazione verso i loro “giardini” con interpretazioni controverse del patto di Schengen.
Certamente la grave crisi globale economica e finanziaria ci ha resi tutti più deboli, ricominciamo a pensare in termini “collettivi”, non per riesumare vecchi modelli dei tempi passati, ma per cercare di difenderci meglio…………
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Prendo spunto dalla risposta di Marcello Veneziani in una intervista del dicembre 1997 sui valori nella cultura di destra, reperibile in Wikipedia: “destra vs. sinistra”.
Veneziani, uomo di destra, di notevole autonomia intellettuale, scrittore, saggista e valente analista socio-politico, alla domanda dell’intervistatore:
“Comunemente pensiamo che sia l’ideologia politica a nascere dai valori, ma non è possibile che, alcune volte, sia l’ideologia politica a far nascere dei valori e ad affermarli?”
Così rispondeva:
“Io ho l’impressione che le ideologie siano una specie di sottoprodotto dei valori. Cioè l’ideologia è il tentativo di sottomettere i valori alle esigenze di partito, perché l’ideologia in sé come espressione vuol dire un sistema di valori. Quindi dal punto di vista, diciamo, formale è una cosa di cui tutti si devono augurare, cioè è giusto che le forze politiche abbiano un sistema di valori. Però vediamo come ha funzionato l’ideologia nei nostri anni Settanta, per esempio. Ha funzionato come sacca di intolleranza, innanzi tutto, quindi come aggressioni, violenze, devo dire da entrambi le parti, e dall’altra parte ha funzionato anche da esaurimento dei valori della ricerca dei principi e da subordinazione dei valori alle esigenze di partito. Per questo è necessario che valorizziamo le idee rispetto alle ideologie e i valori rispetto ai contenitori ideologici, nei quali sono stati spesso costretti a convivere idee anche diverse. Credo che sia necessario superare questa fase. Però dobbiamo anche aggiungere un’altra cosa, cioè che noi ci siamo liberati dalla società ideologica, che era la società che vedeva tutto in funzione di contrapposizioni politiche, ma siamo entrati in una società che non è migliore della precedente, in cui ci sono altre forme di barbarie, altre forme di intolleranza, di noncuranza degli altri. Quindi non credo che, liberandosi dalle ideologie, ci si debba per forza, come dire, sposare ad una società finalmente affrancata da tutto, finalmente libera di esprimersi. Credo che nascano altre preoccupazioni ed altri impoverimenti. Quindi è necessario recuperare il senso dei valori, nonostante le ideologie del passato.”
Pure se datata, risale alla fine del 1997, questa valutazione mi pare molto attuale in una fase di transizione in cui sembra tutto debba confondersi, o meglio, debba essere superato.
Nuovi movimenti si affacciano sull’arena politica all’insegna dell’indifferenza ideologica, l’esempio eclatante è quello di Beppe Grillo con il suo Cinque Stelle, ma anche Dipietro con l’IDV si dichiara nè di destra nè di sinistra, si accodano ai centristi di sempre di Casini i neo-terzopolisti di Rutelli che vogliono conquistare il (piccolo o magari grande) centro, senza lasciare a destra e sinistra, nemmeno l’onore delle armi della difesa dei valori rispettivamente consolidati.
Questo processo ha subito una violenta accelerazione con la fine , ormai prossima, del governo Berlusconi ( non del berlusconismo che invece continua).
Non esistono più distinzioni valoriali, o meglio, si confondono i valori, sia a destra che a sinistra.
Fin troppo facile portare l’ esempio dell'”evoluzione” Finiana, a destra, che ha tralasciato quelli tradizionali di quella parte per lanciarsi, rapidamente, molto rapidamente, a ergersi tutore di una legalità costituzionale basata sullo stato di diritto : cioè a dire dalla autocritica alle leggi razziali fasciste a quella (non esplicitata) alla Bossi-Fini per dare, ad esempio, il diritto di voto agli immigrati.
Si confondono le carte anche a sinistra dove si offusca uno degli elementi fondanti di quella ideologia: la difesa del lavoro inteso come mezzo di riscatto e di affrancamento dalla subordinazione materiale e culturale dalle multinazionali globali che hanno preso il posto dei capitalismi familistici nazionali. Non esistono, più, si pensi alla Fiat, sponde o riferimenti (più o meno unitari) per lottare in tal senso.
La destra e la sinistra tradizionali, d’altronde non danno segnali chiari, anzi, i valori della della giustizia sociale, dell’eguaglianza, della solidarietà(?) …etc. sembrano dimenticati a sinistra, così come la destra storica non parla quasi più di sicurezza, famiglia……etc.
Si discute, invece, con accanimento, su quale sia il sistema elettorale che possa facilitare l’accesso al potere di governo della cosa pubblica, articolando proposte e progetti sulla base dei responsi dei sondaggi pre-elettorali, utilizzando, ad uso delle tifoserie dei talk-shows mediatici la drammatizzazione che il precariato impone ai ricercatori e agli studenti che lottano per la sopravvivenza della cultura nel paese o porta lavoratori immigrati su di una gru per conquistare una esistenza degna di essere chiamata umana etc…..
Per questo, io che, per formazione e cultura, sono da sempre di sinistra, mi trovo d’accordo con Veneziani, intellettuale di destra, quando nel (non molto poi) lontano ’97 affermava come fosse necessario recuperare il senso dei valori nonostante le ideologie del passato………
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Intanto auguri di pronta guarigione a Maurizio Cevenini, il CEV, che nel momento in cui stava realizzando “il sogno della sua vita” con una candidatura alle primarie di coalizione che pareva inarrestabile e che con grande probabilità lo avrebbe portato ad essere il sindaco (leggero per i detrattori) della sua adorata Bologna, si è dovuto arrestare in prossimità del traguardo tradito dal suo stato di salute.
Sembra gravi una maledizione sulla città: dopo l’affaire Delbono, la re(i)ssa dei (tra) candidati ( anche nel centrodestra) ed il difficile affermarsi nel centrosinistra di un candidato che aveva i numeri (preferenze beninteso) per superarne il commissariamento ecco, fulmine a ciel sereno, la malattia del CEV!
Di cattivo gusto affermazioni, non disinteressate, che collegano l’attacco ischemico alle fortissime sollecitazioni emotive dovute all’appropinquarsi dell’assunzione di una responsabilità per la qualle lo stesso Cevenini non si sarebbe sentito all’altezza. Quantomeno un segnale di imbarbarimento della vita politica!
Non voglio riprendere valutazioni già fatte sulla consistenza politica del CEV e che riconfermo, vedo, con preoccupazione invece, il protarsi, da troppo tempo, di un declino culturale di conseguenza politico-amministrativo che sta relegando Bologna verso livelli più bassi del vivere sociale non degni della sua tradizione.
Si riapre, infatti, la “canea” di quegli aspiranti sindaci che, obtorto collo, si erano ritirati dalle primarie per timore di magre figure elettorali e si riapre, anche, un “dibattito” che ha ben poco da spartire con concrete (non oso dire lungimiranti) opzioni programmatiche per l’iimediato futuro di Bologna.
Il tutto aggravato dalle pressioni delle lobbies finanziarie, imprenditoriali, editoriali, della curia, delle piccole camarillas……etc., che, al centro od ai margini, fanno comunque parte dell’ establishement cittadino insieme al sistema dei partiti, dei sindacati, delle associazioni di varia natura…..etc.
E’ difficile, in tale situazione, intravedere una via d’uscita, non certo per il ritiro della debole candidatura del CEV, ma per l’assenza di candidature valide per uscire dall’impasse, candidature che dovrebbero rappresentare nuove e pregnanti opzioni progettuali atte a rilanciare Bologna.
E senza essere epressione delle vecchie logiche burocratiche sindacali, partitiche o istituzionali……………………………
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Maurizio Cevenini, il CEV, sembrava lanciato verso la carica di primo cittadino, a Bologna, pur non essendosi ancora candidato ufficialmente, quando all’ultima riunione della direzione provinciale del suo Partito, il PD, sono partite le critiche dei concorrenti a sindaco ( Duccio Campagnoli ex assessore regionale alle attività produttive ed ex segretario della camera del lavoro CGIL) e dei capi della corrente neo veltroniana (Senatore Walter Vitali, già sindaco prima di Guazzaloca) che hanno costretto il neo segretario Donini ad impegnarsi a fornire supplementi al programma elettorale ritenuto troppo debole e si sono spinti a chiedere uno slittamento della data delle primarie, sul quale, invece, seppure a fatica, la segreteria ha resistito, negandolo.
Tra i più ” determinati” nella discussione, così come riportano le cronache cittadine, l’assessore provinciale all’ambiente Emanuele Burgin che ha definito il programma proposto “ovattato” buono solo per un candidato “populista” ( Cevenini n.d.a.), l’ex assessore comunale (con Cofferati e concorrente di Del Bono per la sua successione) Virginio Merola che tassativamente vuole discutere approfonditamente dello stesso, oltrechè uno scatenato Campagnoli che si è permesso di reintervenire dopo le conclusioni del segretario provinciale, dando così, dimostrazione della sua “forza” alla riunione della massima assise locale del partito.
Del resto poco tempo fa Ivano Dionigi Magnifico Rettore del nostro ateneo aveva svolte, dalle pagine del venerdì di Repubblica, pesanti accuse di inconsistenza politica a Cevenini dicendo necessario obbligare i migliori a farsi carico dell’onere di amministrare Bologna. Discorso che era già stato fatto, similarmente, dall’ex sindaco il “civico”Guazzaloca che aveva perorato “il governo dei migliori” in accordo con Campagnoli suo principale sponsor dall’interno del PD.
Cosa rimproverano questi signori al CEV? Sostanzialmente di essere troppo popolare ( Cevenini su Facebook vanta circa 5000 amici , Campagnoli ne ha la metà, gli altri Anselmi, Mariucci e la ultima arrivata, la Frascaroli ancora meno), popolarità acquisita con la celebrazione di otre 4000 matrimoni , con la presenza a tutti gli accadimenti sportivi (allo stadio con il Bologna),civili , di costume e della vita cittadina.Ma di non avere opzioni politico-amministrative chiare: un qualunquista che affonda la sua popolarità sui contatti personali di massa.
Ciò può rispondere anche a verità, ma in primo luogo sorge un problema di legittimazione politica: chi decide chi.
Cioè a dire chi decide, in un partito sicuramente democratico quale il PD è , chi può essere in grado di governare Bologna soprattutto alla luce delle disgrazie prodotte dall’incarico dato a DEL BONO.
Certo i contenuti programmatici sono, sempre , una conditio sine qua non, ma questi già da tempo sono stati delineati: il disastro dell’amministrazione DEL BONO non si è verificato per una assenza di contenuti nel programma del sindaco scaturito dalle primarie.
Chi può decidere chi sono i migliori?
Ancora una volta, il popolo del PD, di cui per formazione culturale e politica non faccio parte, ma che rispetto e dal quale mi aspetto molto, sarà costretto a scegliere, tra gli equilibrismi del suo gruppo dirigente, tra la “vecchia” burocrazia sindacale e politica che sbandiererà “pregnanti” contenuti, dal tecnopolo alla vendita delle partecipazioni deli enti locali nelle municipalizzate, dal civis ad una mobilità elaborata da esperti sui generis….che produrrà altri momenti di notevole difficoltà alla città,… etc…, ed un governo “leggero” alla Cevenini che si muoverebbe, forte del suo consenso popolare su una linea , certamente più fluida, ma ispirata dal “senso comune ” (magari gramscianamente inteso) della gente.
Sarà una scelta ardua.
Tuttavia al di là dell’appennino, a Firenze, il giovane Matteo Renzi del PD, trentacinquenne sindaco della città conqiustata con primarie all’ultimo sangue nel suo partito, sta dimostrando di essere in grado di fare scelte positive di buongoverno.
E non solo, ma da quel “ganzo” che è, senza tanti peli sulla lingua, si è permesso di affermare che il nuovo ulivo di marca bersaniana “fa sbadigliare”e che è giunta l’ora di “rottamare ,senza incentivi e di mandare a casa D’Alema, Veltroni e Bersani”.
In generale, c’è molta confusione sotto il cielo: tra “governi di ricostruzione democratica” del Professor Asor Rosa che si sta orientando verso l’astensionismo, il nuovo ulivo di Bersani e Bindi che lascia il centro a Casini ed elabora i due anelli: in quello interno alleandosi con IDV, Verdi e SEL, ed in quello esterno Alleanza democratica con i sinistro federati di PRC /PDCda una parte e dall’altra con Casini, Rutelli, Montezemolo ( senza chiudere a Fini).
Voglio concludere in modo provocatorio, ma sinceramente, anche se la sincerità in politica è il peggiore dei vizi.
Il CEV è certamente un taglianastri ed un presenzialista, forse vacuo ,ma intellettualmente onesto e dubito che possa essere eterodiretto da altri che non siano i suoi fans, cosa per la quale non metterei la mano sul fuoco per gli altri candidati a sindaco, eccezion fatta per Anselmi e la Frascaroli che hanno precisi referenti culturali e sociali.
E questo non è poca cosa di questi tempi!
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Alla II conferenza internazionale sulla decrescita tenutasi a Barcellona il 26 e 27 marzo di quest’anno si sono accentuate le diversità delle anime che le hanno dato vita.
Come faceva rilevare Mauro Bonaiuti in Rivoluzione Democratica, infatti, si è contrapposta all’anima degli attivisti del movimento, quella composta dalle ONG , dalle Università, dalla Ricerca e dalla cosi detta Economia ecologlca.
Questa seconda anima con forti capacità organizzative, progetti e finanziamenti, ha suscitato speranze, ma anche perplessità, tra i militanti per la sua visione della decrescita “come necessaria transizione verso una economia compatibile con i limiti imposti dalla biosfera ( molti parlano a questo proposito di transizione verso uno “stato stazionario”) senza che, tuttavia, questo comporti una rimessa in discussione delle istituzioni esistenti (capitalistiche)”.
Queste organizzazioni, fa notare ancora Bonaiuti, hanno mostrato, sin’ora, scarso interesse per la critica della società e delle istituzioni esistenti.
Mentre, speculare a questo mondo c’è il vasto panorama degli attivisti, di coloro che spesso praticano la decrescita nei mille rivoli dell’associazionismo e delle buone pratiche. Di coloro che sentono l’esigenza di preservare l’ambiente e la natura, prefigurando, in associazioni, piccoli gruppi od anche come testimonianza individuale, stili di vita completamente differenti da quelli consumistici classici.
Tale dicotomia, credo, allontani la prospettiva, auspicata a Barcellona, di una eventuale costituzione di una rete internazionale della decrescita.
Paolo Cacciari nel suo saggio (per Carta edizioni) ” Decrescita o Barbarie” si colloca, decisamente, con l’anima dell’ economia ecologica , dell’ università e ricerca, delle organizzazioni non governative. Prende spunto, infatti, la sua analisi da Giorgio Ruffolo (noto ed esperto economista, uno degli assertori dello stato stazionario) che è il capofila dei sostenitori di una decrescita, per così dire, senza aggettivi, che sostiene come “le capacità di ristrutturazione/trasformazione dei sistemi complessi e aperti all’innovazione tecnologica come lo è il capitalismo democratico siano infinite”.
Schematizzo al massimo il Cacciari pensiero: per ridurre l’abnorme consumo di territorio dovuta all’urbanizzazione diffusa ( che secondo il sole 24ore dal 1990 al 2005 ha visto una riduzione del suolo agricolo del 22% in Emilia Romagna, in Liguria del 45%….!) ad esempio e/o più in generale per tutte le grosse questioni che attanagliano e pesano sulle condizioni esistenziali e di vita delle persone occorre andare ad una sorta di nuovo “bioumanesimo” e produrre una duplice rivoluzione.
Una economica: la decrescita ed una politica: la non violenza attiva.
Il tutto senza catastrofismi, ma sopratutto, senza velleitari estremismi, avendo fede nella capacità rigenerativa di un capitalismo innovato dalla tecnologia.
Sempre schematicamente, la decrescita, per Cacciari, è, poi, felice perche la felicità sta nel consumo. A favore di questa tesi cita la scuola economica classica dei marginalisti ( l’utilità dell’ultima dose del bene assunta ti rende sazio e felice), ed anche Hobbes del Leviatano (“La felicità è un continuo progredire del desiderio da un oggetto ad un altro non essendo il conseguimento del primo che la via verso il seguente”).
Anche Badiale e Bontempelli nel loro saggio “Due vie per la decrescita” sembrano sostanzialente rifarsi alla impostazione dell’anima dell’economia ecologica della Conferenza di Barcellona.
Gli autori, infatti, ritengono sbagliata la contrapposizione che viene fatta tra “famiglia premoderna” basata su un modo di produzione collettivistico agricolo-pastorale anacronistico e conservatore, e “famiglia mononucleare moderna ( cittadina)” che fa crescere il prodotto interno lordo, i cui componenti sono sempre di corsa nel tourbillon lavora-consuma – e-crepa, eterodiretta dalla pubblicità, come fattore di progresso.
Così pure, tragicamente errata, per Badiale e Bontempelli la concezione di una decrescita che rifiuti sia lo stato che il mercato.
Maurizio Pallante, esponente di spicco del Movimento per la Decrescita Felice, respinge tali critiche. L’ MDF non è reazionario, non rifiuta la modernità, non vuole, però essere classificato come progressista. Rifiuta la contrapposizione progresso/reazione. Non rifiuta, ma si propone soltanto di ridurre l’invadenza totalizzante dello stato e del mercato.
Questo dibattito non è astratto, le contraddizioni da crescita selvaggia e senza regole sono davanti a noi in tutta la loro violenza, non occorre elencarle.
Da tempo è nata una corrente, non solo di pensiero, che viena definita Ecocapitalismo, che tenta di far volgere il profitto verso attività produttive “alternative” per uso di fonti energetiche rinnovabili,
per finalità e modalità della produzione e del prodotto.
Sul piano politico, anche nel nostro paese, ne è scaturita una definizione empirica e non ben specificata: la Green Economy che dovrebbe costituire parte irrinunciabile nei programmi di governo, ai vari livelli, per chi la enuncia.
L’auspicio, per tutti qualunque opinione abbiano, è che le proposte concrete di cambiamento inizino a prendere forma…………..
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A Bari, Nichi Vendola ha riunito gli “stati generali delle fabbriche di nichi” e qui ha lanciato la sua candidatura per le primarie del centrosinistra. Forte della vittoria che lo ha incoronato governatore della Puglia per la seconda volta, battendo D’alema per la seconda volta, relegando all’angolo il neo sindaco di Bari, il pur elettoralmente forte Emiliano, Nichi si è detto pronto a fare il premier per il centrosinistra.
Nè si è, sicuramente, spaventato dell’ apostrofo che Bersani ha azzardato nel definirlo definirlo “fuori contesto”, troppo facile la risposta: fuori contesto sarà il PD che non ne azzecca una! Subito in soccorso, invece, gli avamposti dell’ Unità, dalla direttrice Concita DeGregorio che, nell’editoriale domenicale “filo rosso”, fa baluginare un Vendola della “pallacorda” , alla Ravera che, dalla sua rubrichetta, lancia un accorato appello : aiutiamolo!. Non passa, nemmeno, inosservato l’appoggio della “sinistra” PD che si dichiara pronta a sostenerlo, forse perchè appare sempre più evidente che Nichi vuole lanciare una offerta pubblica di acquisto (opa) sul PD, il successo della quale promuoverebbe gli stessi uomini della sinistra ed i veltroniani. Non a caso Nichi sarà il primo ospite della veltroniana scuola di partito democratica a Bertinoro in Romagna.
I dubbi sulla natura dell’operazione politica sono forti. Le fabbriche di Nichi, come è stato rilevato, è una organizzazione distinta da Sinistra Ecologia e libertà, costola distaccatasi a Chianciano dopo la vittoria di Ferrero all’ultimo congresso del PRC, ma ne è fiancheggiatrice politico-elettorale, è la Comunione e Liberazione, laica e di sinistra(?). Vedono, infatti, alcuni analisti antisistema ( Leonardo Mazzei) , “Vendola una via di mezzo tra un Obama bianco ed un Berlusconi di sinistra il cui populismo è fondato sulla suafigura “, che non prende posizioni chiare, nè si schiera su questioni fondamentali, come la pace, il lavoro e la precarizzazione…..etc
Abile comunicatore, tuttavia, Nichi ha saputo, in questi ultimi tempi, lanciare di sè una forte immagine mediatica, ha saputo tessere la tela del proprio carisma, cosi come molti delusi anche a sinistra vorrebbero che fosse.
A dimostrazione di ciò voglio citare ,testualmente, un passaggio del suo intervento fatto il 25 aprile di quest’ anno a S. Martino di Marzabotto (Bologna) città martire della Resistenza, dove mette in evidenza le difficoltà di trasmettere i valori della resistenza al nazi-fascismo alle giovani generazioni: ” Ancora oggi fischia il vento, infuria la bufera . Ma non è vero che abbiamo le scarpe rotte. Abbiamo le scarpe griffate. E, a volte, abbiamo griffato tutto. Abbiamo griffato l’immaginario, qualche volta, perfino la coscienza. Una buona firma è diventata il surrogato di una buona vita. La buona vita è quella che ci rammenta i nostri doveri”.
Può rappresentare una speranza………………………….?
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Ecco come discute la maggioranza con la propria “opposizione” interna!